lunedì 15 ottobre 2012

LOS DOS ESCOBAR: Le storie opposte di Andrés e Pablo e del Narcofutbol in Colombia


fonte: Amazon.com

Pablo era il più grosso trafficante di droga del Sudamerica e del mondo. Andrés era uno dei pilastri della nazionale colombiana composta da una generazioni di campioni che si stavano imponendo a livello internazionale. Stesso cognome, nessuna parentela ma stesso tragico destino, seppur al culmine di due vite vissute su binari completamente diversi.



Fonte: filmeweb.net
GLI ALBORI- Andrés è un ragazzo molto disciplinato, con una forte passione per il calcio.  Da bambino, gioca tutti i giorni nei campetti di Medellin fino a quando, a 20 anni, nel 1987, corona finalmente il suo sogno di entrare a far parte della prima squadra dell’Atletico Nacional. Classico difensore centrale, elegante nelle chiusure, forte di testa, Andrés guadagna ben presto la maglia della nazionale segnando il gol dello storico pareggio dei cafeteros a Wembley, contro l’Inghilterra. La Colombia, che fino a quel momento non esisteva nel panorama calcistico internazionale, inizia prepotentemente a farsi largo. L’Atletico Nacional vince la Coppa Libertadores nel 1989, e disputa la finale di Coppa Intercontinentale contro il Milan, venendo sconfitta solamente nei tempi supplementari. L’Atletico Nacional è un club ambizioso, con denaro sufficiente per pagare e trattenere i migliori giocatori. Ma quel denaro veniva da Pablo Escobar.

Fonte : patriagrande.com.ve
NARCOFUTBOL- A fine anni ’90, Pablo Escobar è stimato come uno degli uomini più ricchi del mondo, grazie ai proventi del traffico di droga. Quindi, per riciclare i soldi sporchi, Pablo inizia ad investirli nel futbol. Precisamente nell’Atletico Nacional. Dinero caliente per pagare i migliori.
Ma non c’è solo Pablo. C’è Gonzalo Rodriguez Gacha, detto El Mexicano, con il Millionarios de Bogotà, e ci sono i fratelli Gilberto e Miguel Rodriguez Orejuela con l’America de Calì. Le squadre diventano juguetes, giocattoli. I boss della droga non vogliono solo giocare, ma anche, e soprattutto, vincere. Così calcio e narcotraffico si annodano pericolosamente assieme, con i potenti pronti a tutto, minacce, sequestri, corruzioni, fino all’uccisione dell’arbitro Alvaro Ortega che costringe la federazione a sospendere per un anno i campionati.

LA EPOCA MAS VIOLENTA-Il rapporto di Pablo Escobar con il popolo è ambiguo. Da un lato il narcotrafficante spietato, dall’altro l’uomo che costruisce campi sportivi, li illumina, e da vitto ed alloggio ai poveri. Pablo è generoso verso la gente e per questo è visto quasi come un messia. Ha una grossa passione per il calcio ed un rapporto stretto anche con i giocatori che spesso invita al proprio ranch per partitelle in cambio di lauti compensi. Ma in Colombia tutti sanno che i soldi – e quindi la generosità – derivano dal traffico di droga. Così la DEA (il dipartimento anti-droga statunitense) incomincia a mettere pressione al governo colombiano ed inizia quindi la caccia a Pablo Escobar. Lui risponde a modo, cominciando la propria guerra contro lo stato, la magistratura e la polizia che provoca sangue per tutte le strade della Colombia.

Fonte: jon-van-woerden.blogspot.com
UN PALLONE PER DIMENTICARE – In mezzo a tutto il caos, il calcio riparte. Il futbol è un’isola felice che serve a far dimenticare i problemi. Higuita, Asprilla, Valderrama, Alvarez, Valencia, Rincon, formano la generazione di campioni che sta tenendo a galla, attraverso il calcio, il nome della Colombia. Le qualificazioni al Mondiale del 1994 si concludono con un incredibile 5-0 rifilato dai cafeteros all’Argentina al Monumental di Buenos Aires. Sotto la guida di Maturana la Colombia si appresta a partecipare ad Usa ’94 dove è vista da tutti come una possibile rivelazione. Pelè, addirittura, in una intervista la dà come una delle favorite. Andrés Escobar è uno dei leader di quella selecion. La sua faccia pulita è l’ immagine onesta della Colombia ed il soprannome di El Caballero della Cancha dice tutto sulla sua integrità morale.

LA FINE DI PABLO- Nel frattempo Pablo Escobar, per evitare l’estradizione negli Stati Uniti, si costituisce, anche se  in modo del tutto  particolare. Fa costruire infatti la propria prigione, detta La Catedral, sulle colline di Medellin, dove si appresta a scontare la propria pena. Lì ha tutti i confort, compreso un campo di calcio. Ma il rapporto fra il boss della droga e alcuni giocatori inizia a creare conflitti. Higuita, il portiere della nazionale, è sgamato mentre si reca a far visita a Pablo, e poco dopo  arrestato per aver partecipato, come mediatore, in un sequestro. Si  mormora che Higuita sta pagando la sua amicizia con Pablo, ma in realtà pure tutti gli altri componenti della nazionale fanno visite regolari a Pablo. Nonostante Andrés Escobar non è moralmente d’accordo nell’andare, non ha scelta, così come i suoi compagni di squadra. Tienes que ir …o..ir 
Fonte: severorivera.com
E' chiaro che la reclusione di Pablo Escobar è una farsa, così, minacciato di essere trasferito in una prigione normale, fugge ancora. Nel frattempo il numero dei suoi nemici cresce  a dismisura: polizia colombiana, Dea, cartelli rivali a cui si sono aggiunti anche i Los Pepes, un ambiguo gruppo capeggiato da Carlos Castaño,  ex-affiliato al Cartel de Medellin. La caccia all’uomo colpisce amici, parenti e persone vicine ad Escobar, fino alla sua morte. Pablo Escobar fu ucciso il 2 dicembre del 1993. Ma la sua scomparsa non pone fine ai problemi della Colombia. La violenza prosegue senza regole. Omicidi, bombe e rapimenti (fra cui il figlio del giocatore dell’Atletico Nacional, Luis Fernando Herrera, poi fortunatamente rilasciato) sono all’ordine del giorno. Con Pablo Escobar se ne va anche la legge di Medellin. Prima, nessuno faceva niente senza il suo permesso, adesso la Colombia vive nel più pericoloso dei far-west.

LA “MANO NEGRA”- Andrés Escobar, come tutti i suoi compagni, soffre la mancanza di tranquillità. Sta progettando di andare a giocare in Europa, ed ha appena ricevuto un’offerta dal Milan, nonché da una squadra messicana. Tuttavia dentro di sé sa che la nazionale è uno strumento importante per dare alla gente del suo paese soddisfazioni. Ma, nonostante le buone premesse, la Colombia inizia col piede sbagliato l’avventura statunitense. L’imprevista sconfitta contro la Romania, fa calare sulla nazionale una “Mano Negra” che stritolerà per sempre i sogni colombiani. Herrera apprende dell’uccisione del fratello al rientro in albergo, Maturana viene minacciato, ed obbligato a non schierare Gomez per il successivo incontro. Scommettitori clandestini rivendicano la perdita di grosse somme di denaro. La nazionale vive così in uno stato di terrore, con i giocatori attaccati ai telefoni per avere notizie rassicuranti sui propri familiari.

Fonte: lashorasrojas.blogspot.com
ADIOS CABALLERO- La sconfitta contro gli USA segna la fine dei sogni colombiani. Andrés Escobar è l’immagine malinconica di quella nazionale. Uno dei pochi errori della sua carriera causa l’autogolche permette agli americani di andare in vantaggio, nella gara finita poi 2-1. Andrés è molto triste. Si sente responsabile del fallimento della nazionale. Tuttavia , al rientro in Colombia, vuole dimenticare. Uscire, affrontare la gente, scacciare i propri demoni.. Come se niente fosse successo. Così, in una serata come le altre va con alcuni amici in un locale. Ma, quella del 2 luglio 1994,  non sarebbe stata una serata come le altre. Alcune stupide battute sull’autogol, fanno nascere una discussione.  Sembra tutto finito, quando Andrés, di ritorno verso casa, viene assassinato. Alcune testimonianze aiutano la polizia a ritracciare l’auto dalla quale sono partiti i colpi, che risulta appartenere ai fratelli Gallon, loschi personaggi molti vicini al leader del Los Pepes, Carlos Castaño. Ma dopo pochi giorni, sorprendentemente, a confessare l’omicidio è un certo Humberto Castro  Munoz, l’autista dei fratelli Gallon. Trovato il colpevole – con i Gallon usciti puliti al 100% - la gente va dicendo che se Pablo fosse stato vivo, nessuno avrebbe toccato Andrés. 

@JuriGobbini

Los Dos Escobar è un film-documentario del 2011 diretto da Jeff e Micheal Zimbalist



lunedì 8 ottobre 2012

Keep calm and look for a derby

foto tratta da http://milano.ogginotizie.it
E' proprio vero che il calcio italiano è in declino. Fosse stato qualche anno fa,  guardarsi il derby della madonnina a London sarebbe stato un gioco da ragazzi. Nel 2012 invece l'operazione è stata talmente complicata che ad un certo punto sembrava quasi impossibile.
Naturalmente in tutto questo ha influito la presenza del Clasico Barca-Real quasi in contemporanea, e perchè no, anche di Olympic Marseille-P.S.G. .  Così uno dei posti migliori per godersi il football in tv, il Walkabout,  un australian pub situato dietro alla stazione della metropolitana di Temple, che avrebbe trasmesso la Liga sullo schermo gigante e la Serie A sui televisori laterali, al momento della prenotazione on-line del tavolo risultava già tutto esaurito. Ritento (sarò più fortunato?) con il Walkabout di Sheperds Bush, ma anche qui nisba:"We are showing the game but we are not taking table booking as we expect to be very busy" la risposta arrivata per email.

Dare la caccia in tutta London per trovare un pub che avrebbe trasmesso AC Milan vs Inter Milan e non Barca vs Real era un'opzione da scartare, così, per non saper nè leggere nè scrivere, lo Sport Cafè di Haymarket Street sembrava offrirci le migliori garanzie: posto già frequentato decine di volte, dove la Serie A è un must , al pari di Liga, Ligue1 e Football Americano, per la gioia dei tanti immigrati di tutto il  mondo. Ma all'ingresso la faccenda si complica ancora.
"£10 each!" ci dice il buttafuori con un sorriso talmente beffardo che voleva intendere, senza dirlo "Ah ci senti ! volevi venire a vedere la partita gratis!!?".
Certo che no, ma £10 (!) caro ciccione....
Lo stesso stupore assale anche due spagnoline arrivate nello stesso istante "!Coño! Se paga diez libras!". Adios Sport Cafè, adios Muchachas....
foto tratta da www.baritaliasoho.co.uk

Così il piano B entrava in azione quasi immediatamente. Fra alcune titubanze generali la scelta cadeva sul Bar Italia a Soho: lì la partita sarebbe stata trasmessa al 100%, senza alcuna intrusione di spagnoli o francesi. L'unico problema semmai poteva essere la "capienza ridotta" del bar. Attraversiamo a piedi Piccadilly e poi Chinatown, facendo a spallate con turisti distratti dalle luci del centro di Londra, ed orde di cinesi pronti per andare a cena. Per guadagnare tempo acceleriamo il passo, tentando anche qualche azzardo nell'attraversare la strada. Distratto da due sgargianti milfs dirette verso il Palace Theatre, rimango attardato, tant'è che i miei due compagni di avventura mi devono aspettare.

La soluzione alla fine si rivelava azzeccata: nessun dazio doganale all'ingresso ed atmosfera tipica italiana. Il bar è il tipico locale che puoi trovare a Roma o Milano (o in qualsiasi altra città), lontano mille miglia dagli standard turistico-commerciali dei vari Pret, Caffè Nero, Costa o Starbucks,  e che conserva quel tocco di italianità che non guasta mai: bancone lungo, classiche bottiglie di amaro,  foto in bianco e nero alle pareti.  Anche se sono un'amante del cosmopolita-style che offre London, una serata così ci stava proprio bene. Sgusciando in mezzo alla gente, ci ritagliamo uno spaziettino quasi in davanti alla (unica) televisione, giusto in tempo per il calcio d'avvio. Da neutrale rimango indifferente al gol di Samuel, anche se da buon amante del calcio speravo che il vantaggio avrebbe vivacizzato la gara. Invece il Milan (qualcuno ne ha sottolineato lo scarso avvio di campionato con un "Figa abbiam gli stessi punti del Pescara!") combinato ben poco di costruttivo - polemiche a parte per un gol annullato e un rigore negato - contro un Inter piazzata in difesa con il più classico dei catenacci anni '60.

@JuriGobbini





venerdì 5 ottobre 2012

THE WONDERLUST WORLD GUIDE AWARDS 2012: Luca Alfatti nominato miglior guida turistica al mondo


LONDON- Luca Alfatti di strada ne ha fatta, e parecchia. Non solo nel significato metaforico della frase, ma anche, e soprattutto nel senso pratico, visto che dal 2007 scorrazza in lungo e in largo per il mondo con il suo camion carico di turisti. Già perché quasi sei anni fa, Luca, originario di Città della Pieve, paese al confine fra la Toscana e l’Umbria,  ha avuto la brillante idea di diventare guida turistica. Dopo le esperienze lavorative in Inghilterra, Usa e Nuova Zelanda, l’allora obbiettivo era quello di continuare a viaggiare, lavorando al tempo stesso. Così è iniziata la sua avventura con la ditta inglese Dragoman, specializzata in vacanze Overland.


AROUND THE WORLD -Dopo l’addestramento sui camion sono arrivati i primi incarichi: Sud-America, Africa ed ancora Sud-America. Poi nel 2011 è toccato all’Asia ad essere esplorata in lungo ed in largo, da Istanbul fino alla Cina, passando per Nepal ed il Caucaso.  Serio, affidabile, socievole, comunicativo ed intrattenitore, Luca è stato definito one-man Lonely Planet per le sue conoscenze, tant'è che i turisti possono fare a meno di cartine e guide. Tra i vari feedback ricevuti dai lettori del magazine Wanderlust il “Può avere una interessante conversazione sia con un dicianovenne saccopelista che con un settantacinquenne vedovo” rende bene l’idea della sua disponibilità ed apertura al dialogo.

IL PREMIO- Così era arrivata la nomination per il Wanderlust World Guide Awards, dove Luca era in lizza con Nyi Nyi “Frankie” Naing (Guida in Burma e Myamar per conto della Golden Travel e Panoramic Journeys), Bhupendra Sharma (Guida in India e Nepal per la G Adventures) giunti terzi a pari merito, e con Simyra Taback-Hlebechuk (Guida in Alaska per la Hallo Bay Wilderness Camp), vincitrice del secondo premio. Oltre alla targa celebrativa, Luca Alfatti intascherà una Bursary Plan di £ 5,000, somma di denaro che prontamente investirà in una comunità in Guatemala al supporto di orfani e madri abbandonate. Nel frattempo, Luca lavorerà a nuove rotte ed itinerari futuri. Nel 2013 poi sarà in Brasile e successivamente in Centro e Nord-America per un nuovo tour.