mercoledì 18 novembre 2015

Inchiesta Calcio Giovanile: l´Importanza dei Vivai


Nel 2001, un sedicenne attaccante portoghese, militante con lo Sporting Lisbona, fu raccomandato all´Inter. L´ex-giocatore nerazzurro Luis Suarez, da sempre in collaborazione con il club, si diresse allora nella capitale portoghese per vederlo all´opera. Ma nonostante il parere positivo ed il costo relativamente basso dell´operazione - stimato attorno ai 2 Milioni di Euro - il presidente Massimo Moratti bocciò la trattativa alludendo al fatto che era sua intenzione comprare un “prodotto finito” anziché un teenager. Quel giocatore si chiamava Cristiano Ronaldo. (Fonte: Cristiano Ronaldo: The biography di Guillem Balague)
Esistono varie maniera di fare scouting nel mercato giovanile. Chi cerca, come fece Moratti, il “prodotto finito”, quel giocatore con già alle spalle sufficienti minuti per essere considerato pronto per la prima squadra, chi invece ha strutturato una vasta rete di osservatori in grado di setacciare a fondo alcune precise zone - vedi l´Udinese col Sudamerica - e, nonostante i noti rischi del “comprare a stock”, riesce quasi sempre a compiere veri e propri affari low-cost.
Altre società invece preferiscono agire in maniera ibrida: il rischio sembrerebbe sulla carta minore, a meno che l´agente - in teoria di fiducia - ti rifili il “pacco” dopo averti incantato con referenze gonfiate ed esplosivi filmati di presentazione, buoni forse per Youtube ma poco utili quando la parola spetta al campo.
Ci sarebbe inoltre una quarta maniera di fare calcio ed è forse quella più semplice: coltivare i talenti in casa, facendoli crescere con gli ideali e i valori del club e poi lanciarli in prima squadra al momento opportuno. Non tutte le squadre ci riescono però. Molte sembrano disinteressate da quello che succede nelle giovanili e considerano il vivaio come una palla al piede. Altre invece sbandierano al vento i campionati giovanili vinti, ma quando poi si tratta di dare fiducia a quei promettenti ragazzini le porte, come per magia, si chiudono. A volte a doppia mandata.

Ovviamente vi sono due facce della medaglia: non tutte le piazze sono in grado di assimilare l´introduzione in prima squadra di giovani e spesso anche l´opinione pubblica gioca un fattore negativo. Un tifoso infatti, illuso che la propria squadra trovi il nuovo Maldini o il nuovo Messi, preferisce l´arrivo di uno sconosciuto straniero piuttosto che la promozione di un primavera. E nemmeno la stampa, pronta a etichettare con troppa fretta giovani promesse come fenomeni, non aiuta di certo.
Ma quanto conta realmente un vivaio? Una risposta interessante ce la dà il CIES (Centre for Sports Studies) che ha recentemente analizzato 31 campionati europei, ottenendo dati importanti sul rapporto fra settori giovanili e prime squadre.

Uno dei dati di maggior spicco è quello che vede l´Italia al penultimo posto per giocatori impiegati nel campionato di Serie A che provengono dai settori giovanili italiani: solo l´8,6%. Spagna (23,7%) e Francia (19,4%) sono anni luce davanti alla Serie A, mentre in Europa è il bielorusso il campionato in testa a questo tipo di statistica (ben 34%).
Ma è così difficile lanciare giovani in prima squadra? E quali sono gli ostacoli principali? Certamente molto dipende dal tipo di campionato e dai singoli obbiettivi di una società. Ricorrere a teenager quando ti stai giocando una salvezza o un titolo è ben più difficile che quando una squadra naviga stabilmente a metà classifica. E un campionato polacco o bielorusso non può essere nemmeno paragonato alla Premier League o alla Liga spagnola. Inoltre, avere o meno soldi per muoversi sul mercato è un altro fatto determinante. Se puoi spendere e comprare l´ingranaggio che manca, non ricorrerai mai al ragazzino.
Però il problema potrebbe stare a monte. Spesso manca la volontà a livello societario e le incertezze che regnano all´interno di un club si ripercuotono in scelte di questo tipo:  molte volte l´opzione più facile è quella di non rischiare, e così i giovani vengono lasciati in naftalina.

Dei 5 campionati principali (inglese, tedesco, francese, spagnolo ed italiano) solo due squadre hanno almeno la metà degli uomini in rosa provenienti dal proprio settore giovanile: il Las Palmas (50%) e l´Athletic Bilbao (63%) mentre i bielorussi del Gomel hanno quasi tutta la rosa (92%) prodotta in casa propria. Tuttavia, la scelta del club non ha dato i frutti sperati: il Gomel è infatti appena retrocesso.
Viceversa, non è matematico che un club che non lanci giovani sia destinato a far meglio di chi lo fa. Fra le squadre che non possiedono in rosa nessun elemento cresciuto nel proprio vivaio vi sono infatti Carpi ed Hellas Verona, che attualmente occupano l´ultimo ed il penultimo posto della Serie A. Anche il Granada ed il Tondela sono ultimi in graduatoria, rispettivamente in Spagna e Portogallo, mentre l´KV Oostende inverte completamente la tendenza: i belgi sono momentaneamente al primo posto della Pro League.

Difficile quindi stabilire che la presenza o meno di giovani del proprio settore giovanile incida in maniera fissa sulle sorti di una squadra. A volte poi deriva dalla qualità degli stessi. Vi sono settori giovanili che producono talenti quasi in serie, ed altri che riescono ad avere giocatori degni di nota ogni 3-4 anni. Ma la produzione, oltre ovviamente al bacino d´utenza e alla fortuna di avere fra le proprie file il “fenomeno di turno”, dipende molto dalla di chi gestisce ed allena quei ragazzini. Un settore giovanile non si improvvisa dal giorno alla notte.
Per diventare calciatori professionisti non basta essere dotati solamente di talento naturale, ma occorre che il processo di crescita tecnica, tattica e di maturazione, venga seguito da persone competenti e preparate sotto ogni aspetto che riescano a dare al ragazzino tutti gli strumenti necessari a migliorare giorno dopo giorno. In campo e fuori.

Per far questo ovviamente servono le strutture ed il personale idoneo ed è altrettanto importante che il club riesca a trasmettere ai ragazzini i propri valori. Non è un caso che nella Masia – la famosa Academy del Barcellona-  siano cresciuti ben 44 calciatori militanti nei 5 campionati principali. Il club catalano è da sempre il top per la formazione di giovani talenti ed uno dei fattori che incide maggiormente è una certa stabilità tecnica. Indipendentemente da chi sia l´allenatore della prima squadra la filosofia imposta nella cantera blaugrana rimane sempre quella - il famoso 4-3-3 ed il gioco “all´olandese” le cui radici risalgono all´epoca di Johan Cruyff - e ciò ha dato al settore giovanile catalano un´identità ben precisa.
C´è poi il caso dell´Athletic Bilbao, che oltre a covare talenti rappresenta una istituzione delle tradizioni basche – anche se quelli della Real Sociedad la pensano diversamente, ma questa è un´altra storia -  ed il fatto che ammetta solo giocatori locali riduce il bacino di utenza ma aumenta le proporzioni dei risultati raggiunti nella storia del club.
Ma il Barcellona non è l´unico club di prima fascia a lavorare bene. Tanti hanno settori giovanili all´avanguardia, anche se poi molti club, grazie alla generosa disponibilità economica, preferiscono comprare “il prodotto finito”: vedi PSG o Bayern München per esempio.
Nella top 20 vi sono anche due squadre italiane, l´Inter e l´Atalanta. Ma dei 20 giocatori cresciuti nel vivaio milanese solo due sono ancora in rosa, mentre 18 stanno tentando la fortuna altrove. Questo non significa che ad Appiano Gentile non si producano buoni giocatori, semmai la recente instabilità tecnica (7 allenatori cambiati dal 2010) e societaria hanno fatto sì che ogni stagione si ripartisse da zero o quasi.

La stessa cosa andrebbe detta del Chelsea, anche se la squadra londinese non figura in nessuna lista. I blues hanno vinto 4 delle ultime 6 FA Youth Cup (ed in una occasione sono stati sconfitti in finale) e nel 2015 hanno conquistato anche la UEFA Youth Cup. Senza ombra di dubbio quello del Chelsea è il settore giovanile migliore d´Inghilterra ed uno dei migliori a livello europeo, ma quanti di quei ragazzi sono poi saliti in prima squadra? Il fatto che John Terry sia l´ultimo elemento uscito dalle giovanili ad aver trovato impiego fisso in prima squadra la dice lunga sulle difficoltà a cui vanno incontro una volta completata la trafila nelle giovanili.
Delle ultime covate, attualmente solo Ruben Loftus-Cheek è stato aggregato alla corte di José Mourinho – appena 63 minuti giocati per lui in questa stagione – mentre tutti gli altri già venduti o in prestito in squadre satelliti, di solito al Vitesse o in serie minori inglesi. In attesa probabilmente di essere liquidati per sempre o usati come contropartita tecnica in operazioni di mercato.
Ma dietro a queste mosse potrebbe essere nascosta una precisa scelta societaria: comprare una giovane promessa (generalmente a basso costo) e lasciarla crescere fra Academy e prestiti vari genera un aumento del valore di mercato dello stesso giocatore. E permette soprattutto al club di intascare buone somme: dalla sola compravendita di Romelu Lukaku, Kevin de Bruyne e Thorgan Hazard il Chelsea ha ricavato ben oltre £26m. Quella che in teoria dovrebbe essere la base per il futuro, in realtà sembra essere puro business.

Anche analizzando i singoli giocatori lanciati in prima squadra questa stagione, i dati sono soggetti a diversi angoli di interpretazione. Dei tre militanti in Serie A solo il senagalese dell´Empoli Assane Diousse (arrivato in Italia nel 2010) può definirsi prodotto locale mentre sia Oliver Ntcham (Genoa) che Pedro Pereira (Samp) sono cresciuti altrove. Il primo, in prestito dal Manchester City,  in Francia, mentre il secondo con il Benfica. Il "parodosso italiano" é che Mario Piccinocchi, milanese e cresciuto nel Milan, é in testa alla classifica per minuti giocati: il giovane centrocampista in estate è stato venduto al Vicenza che poi lo ha girato in Svizzera, dove sta ottenendo la chance di giocare titolare alla corte di Zdenek Zeman.
In generale, statistiche a parte, sono le politiche societarie ed la propensione dell´allenatore ad incidere molto sul lancio di giovani. Non tutti hanno il coraggio di sbolognare Ronaldinho e Deco (e mettere in panchina allo stesso tempo Thierry Henry e Yaya Toure) per far giocare gli sconosciuti Pedro e Sergi Busquet, o di lasciar partire un Patrick Viera al top della carriera per rimpiazzarlo con il teenager Cesc Fabregas. E non tutti sono capaci di vincere una Champions League, battendo il Milan di Fabio Capello, con una rosa di elementi - dei quali molti nemmeno ventenni - cresciuti quasi tutti nel proprio vivaio, come fece Louis van Gaal con l´Ajax a metà anni 90. Difficile che succeda ancora, ed ancor più improbabile, visti i numeri ed il trend negativo, che accada con una squadra italiana.